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Chiesa di San Domenico (XIII sec.)

Notizie storiche

Nel corso del XIII sec. s’insediarono nella città gli ordini mendicanti dei domenicani, francescani, e agostiniani; essi costituirono dei poli attrattivi per la crescita urbana, furono sedi di importanti corporazioni e contribuirono con le loro attività allo sviluppo socio-economico del paese. La tradizione storiografica vuole che i frati domenicani iniziarono la loro costruzione intorno al 1220, recuperando le preesistenze di un’antica rocca degli Smeducci e di una primitiva chiesa già intitolata a S.Maria del Mercato, donate dalla città ai monaci, dopo un incontro a Bologna tra il patrizio sanseverinate Smeducci ed il patriarca San Domenico. Nel 1304 quando la chiesa viene consacrata, alla presenza di ben sessantotto vescovi, il complesso conventuale doveva già essere stato realizzato; successivamente il monastero fu oggetto di continui rimaneggiamenti come ne è testimonianza direttamente la fabbrica con la sua complessità e discontinuità costruttiva. Due eventi, in particolare, comportarono gravi danni alla struttura del complesso, nel 1416 quando il monastero ospitò le forze armate di Fortebraccio, che qui si rifugiò per sconfiggere i sanseverinati, e nel 1428 quando fu oggetto di un gravissimo incendio. Nel 1444 i monaci di S.Giovanni a seguito della demolizione della loro chiesa in campo Idonico, costruirono qui un altare dedicato a S.Giovanni, nel 1512 la Confraternita del Rosario delle pie donne commissionò a Bernardino di Mariotto la bela pala della Madonna con bambino e santi, come pala d’altare della loro cappella in S.Domenico (oggi esposta nell’altare maggiore).

Nel 1664 il domenicano Pietro Maria Dolcetti si preoccupò di ampliare la chiesa commissionando all’arch. domenicano Giuseppe da Palermo il progetto e ai fratelli Rubini, maestri muratori l’esecuzione. Il disegno realizzato trasformò la chiesa nelle attuali forme con pianta a croce latina, preceduta da un vestibolo. Nel 1861 in seguito alla soppressione vennero trafugate dalla cappella lateranense due tavole di Lorenzo d’Alessandro rappresentanti una la “Madonna con bambino, angeli e i santi Battista e Severino” e l’altra la Pietà, vennero poi recuperate dal marchese Luzi ad un’asta di vendita a Roma e oggi riposta in Pinacoteca; qui confluirono molte delle preziose opere del patrimonio di S.Domenico: il trecentesco polittico di Paolo Veneziano, la Madonna dell’umiltà di Allegretto Nuzi del 1366, la Sacra Conversazione, il reliquiario in bronzo dorato con la reliquia dell’apostolo S.Filippo, del bolognese Giraldo di Jacobo Covazza, datato 1326 e di recente le due tavolette rappresentanti sant’Eustachio e santa Teopista, attribuite ai discepoli di Bernardino di Mariotto. Nel 1972 venne eseguito il restauro delle volte cadenti e di altre porzioni di tetto fatiscenti. Attualmente il complesso conventuale viene mantenuto con le rendite dell’Opera Pia che ne hanno consentito la conservazione, dopo che nel 1978 la casa di riposo Lazzarelli ha lasciato il Convento per stabilirsi nella sede del vecchio Ospedale. A seguito di un crollo nel 2008 la chiesa è stata di recente restaurata e riaperta nel maggio 2012.

Descrizione architettonica

La chiesa con pianta a croce latina, si presenta come una grande aula coperta a crociere, aperta su ciascuno dei due prospetti laterali da quattro arcate a tutto sesto su cappelle voltate; in corrispondenza del transetto lo spazio centrale si eleva per essere coperto dalla calotta di una cupola, sostenuta dai quattro pennacchi di raccordo alle quattro arcate d’imposta delle volte a botte dei due bracci del transetto, dell’arco della navata longitudinale e dell’arcone di trionfo che immette nell’area presbiteriale. Quest’ultima, a pianta semicircolare allungata da uno spazio voltato d’ingresso, rialzata e separata dallo spazio dei fedeli con elegante balaustrata in pietra gessina, è coperta da catino absidale affrescato. L’impianto del convento è tradizionale con la chiesa ed accostato il chiostro, intorno al quale si aprono gli spazi interni. Il chiostro a pianta quadrata con giardino nel mezzo arredato al centro da una cisterna a base ottagonale, è posto a nord della chiesa si sviluppa su due livelli di cui l’inferiore aperto da loggiato e coperto da crociere ed il superiore porticato anch’esso su due lati e chiuso sui restanti due prospetti. Interessanti soprattutto per il contenuto narrativo gli episodi della vita di San Domenico, dipinti nelle lunette d’imposta del loggiato al piano terra con la parete del convento, eseguiti nel 1664 in parte dal sanseverinate Lazzarelli ed in parte da Sebastiano Ghezzi di Comunanza. All’interno del piano terra erano ricavati lo spazio del refettorio, la sala del Capitolo lungo quello ovest, altre grandi sale e piccoli vani adiacenti allo scalone in pietra gessina a due rampe, unico accesso al piano superiore dove sono disposte, affacciate sul giardino, le celle dei monaci ed altri grandi aule. Il convento e la chiesa rappresentano una preziosa testimonianza dell’architettura portata nel territorio maceratese, a partire dal XII-XIII sec., dai maestri comacini lombardi. L’uso dei materiali, con la pietra calcarea bianca per la fascia del basamento e il mattone per la parte superiore, vennero utilizzati anche per gli altri maggiori monumenti della città medievale.

Opere

Nella seconda cappella a destra intitolata al patriarca San Domenico si vede l’Estasi di S.Domenico attribuita al bolognese Paolo Cignani. Le successive tre cappelle del lato destro erano dedicate a San Venanzo, San Tommaso e nel nome di Dio e mostravano quadri di Paolo Marini del XVII sec.. L’area presbiteriale è separata da una balaustrata in pietra gessina, presenta due porte con pregevoli tarsie in radica di noce e conserva la tavola eseguita nel 1572 da Bernardino di Mariotto, raffigurante la Madonna col bambino a cui si affiancano S.Severino, S.Ansano, S.Caterina da Siena, S.Domenico e S.Giovanni Battista, da osservare la lenticolare veduta della città nel plastico sorretto da S.Severino; la tavola era completata da una predella rappresentante i misteri gaudiosi. Presso l’altare maggiore è custodita un’arca con le spoglie della Beata Camilla Gentili da San Severino (vissuta nel XV sec.). La porta a sinistra dà accesso alla sagrestia, un tempo cappella dei Caccialupi, nel quale rimane un brano d’affresco da ricondurre al giottesco Pietro da Rimini, e resti di una presumibile teoria di santi, della tarda attività di Lorenzo Salimbeni, quella a destra dà accesso al campanile con affreschi superstiti delle storie di S.Caterina attribuiti al dibattuto maestro di Esanatoglia (tardo sec. XIV). Gli affreschi dell’abside sono stati eseguiti dal settempedano Giulio Lazzarelli nella seconda metà del XVII secolo. Della stessa epoca le tele laterali rappresentanti la Natività e la Disputa fra i dottori del settempedano Giovanni Paolo Borsetti. Nell’altare del transetto di sinistra vi è esposta la Pentecoste del Guercino o relativa scuola bolognese; la Santa Lucia del sottoquadro è invece dello Scarsellino; nella cappella successiva L’incredulità di S.Tommaso di Biagio Puccini; di Filippo Bigioli è il quadro della penultima cappella raffigurante S.Domenico Ferreri che dona la vita ad una donna; l’ultima ha un Crocifisso del sec. XVII.

arch. Debora Bravi

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